Genova 2001. Black Blocs. Communicato di Davide FERRARIO

Black Bloc Genova (Italia)FERRARIO, Davide

I FATTI DI GENOVA 20/21 LUGLIO 2001 di Davide Ferrario

Comunicato che Davide Ferrario (regista di Le strade di Genova) ha consegnato ai giornalisti durante la conferenza stampa che si è tenuta il 4-7-2002 a Palazzo Ducale.
E’ la sua ricostruzione dei fatti sulle giornate del G8.

Questa è una ricostruzione (sommaria ma oggettiva) dei fatti del 20 e 21 luglio, basata su uno studio accurato delle immagini e dei tempi, così come spiegato nel mio documentario Le strade di Genova. Qualcuno si chiederà perchè la Commissione Parlamentare (con l’opposizione dei membri di centrosinistra) ha votato un documento finale che sostanzialmente nega l’evidenza. La risposta è semplice: i Commissari del Centrodestra si sono rifiutati di vedere i filmati (a cominciare da Le strade di Genova), basandosi solo sulle audizioni dei diretti interessati. Essendo la Commissione "conoscitiva" e non "d’inchiesta", era loro facoltà. Quando allora l’opposizione ha formalmente chiesto la commissione d’inchiesta, la maggioranza l’ ha respinta.
I Black Bloc
I Black Bloc sono attivi tra le 11 e le 15 di venerdì 20 luglio. Compaiono dapprima in corteo in Corso Torino, puntando sul concentramento dei COBAS in piazza Da Novi.
Qui, nonostante un timido tentativo di interposizione dei COBAS stessi, attaccano i carabinieri. Sono respinti, ma non inseguiti. Quando finalmente un plotone va a porre sotto assedio il Meeting Point, dove si erano rifugiati, di BB non ce n’è più: sono risaliti per la scaletta di via Fogliensi, proprio davanti a un blocco della Finanza, e - attraversando via Nizza, piazza Palermo e via Montevideo - si sono concentrati in cima a via Tolemaide, unendosi a un altro gruppo, secondo quello che sembrerebbe un piano preordinato. Sono circa le 13:15. Scendono via Tolemaide, svoltano nel tunnel di Corso Sardegna (allontanandosi dalla zona rossa), percorrono piazza Giusti, piazza Manzoni, via Canevari. E’ questo il percorso lungo il quale compiono le maggiori devastazioni, senza che siano mai attaccati dalle forze dell’ ordine. Giunti a Marassi, si dividono. Un gruppo raggiunge piazza Manin, dove c’è uno scontro con la polizia del quale fanno le spese i pacifisti lì radunati, che si trovano tra due fuochi. Verso le 14:45 il secondo gruppo (non più di trecento persone) arriva davanti al carcere, dove stazionano quattro blindati e due camionette dei carabinieri. Al loro apparire, i reparti (comandati dal dott. Salvo, che parla nel suo rapporto di "forze preponderanti" e molotov mai tirate) si ritirano di corsa. Gli stessi BB sembrano sorpresi da questa fuga. Trovando campo libero, danneggiano l’ingresso del carcere e, solo allora, tirano due molotov all’interno.
Via Tolemaide: il corteo dei "disobbedienti"
Tutt’altro il comportamento dei carabinieri in via Tolemaide, dove, verso quell’ora, arriva il corteo delle cosiddette "Tute Bianche" (diecimila persone circa), diretto verso la Zona Rossa. Il corteo è autorizzato fino a piazza delle Americhe, dove si è schierato un fortissimo contingente di uomini e mezzi della polizia. Ma all’altezza di Corso Torino (ben prima, quindi, che varchi il limite) una colonna di carabinieri sbuca dalla perpendicolare via Invrea e si frappone tra manifestanti e polizia. Dopo un fronteggiamento di qualche minuto e senza che dal corteo venga lanciato alcunché, i carabinieri caricano di corsa, violentemente. E’ da questo attacco, oggettivamente immotivato, che si sviluppano gli scontri che porteranno, due ore dopo, alla morte di Carlo Giuliani. E’ lungo dettagliare le varie fasi della battaglia. Generalizzando si può dire che l’offensiva dei carabinieri segue due principi::
1. manovre "a fisarmonica", caratterizzate da attacchi e rapide ritirate, non finalizzate a un arretramento del corteo, ma piuttosto a segmentarlo
2. una scelta di confronto fisico molto duro, sia nei corpo a corpo, che nelle cariche dei blindati lanciati in mezzo alla folla.
Tre-quattromila persone sono coinvolte nei durissimi scontri intorno a Piazza Alimonda e via Casaregis.. Si generano contatti estremamente violenti, con svariati feriti da entrambe le parti, L’uso dei blindati è un boomerang. Una volta effettuato lo sfondamento, finisce spesso che il mezzo non ha più spazio per manovrare e si ritrova così accerchiato da manifestanti, inferociti dal fatto che hanno rischiato di essere travolti: molti blindati, isolati, vengono duramente attaccati a pietre e bastonate. Si arriva così all’episodio del blindato bruciato che ha conquistato molte fotografie sui giornali. Il blindato è lo stesso mezzo che ha appena compiuto una pericolosissima manovra in retromarcia nel mezzo di un folto gruppo di manifestanti. Svoltato in corso Torino, il motore, però, si ferma. L’autista scappa, lasciando dentro tre suoi colleghi. I manifestanti circondano il blindato e scoprono che non è vuoto. La situazione è pericolosissima. I carabinieri, cinquanta metri più in là, non intervengono. I manifestanti si accaniscono con le pietre per qualche minuto. Alla fine, accorre un solo ufficiale a piedi. Il cerchio si apre e i tre scappano. Dopo di che, il blindato è assaltato e dato alle fiamme. A questo punto (sono circa le 16:40), ricompare la polizia, la cui tattica è completamente diversa. Non si basa sul confronto diretto, ma sulla pressione del numero. Da piazza Verdi esce un’ enorme colonna di mezzi e di agenti, con alla testa due idranti che sparano acqua urticante. Nel giro di quarantacinque minuti questa manovra sortisce l’effetto che due ore di corpo a corpo non avevano raggiunto: il corteo si ritira sempre più indietro lungo la direttrice via Tolemaide-Corso Gastaldi.
Piazza Alimonda
E’ a questo punto che muore Carlo Giuliani. Il dramma avviene in un momento in cui la situazione si è pressochè risolta. Il corteo, abbandonata ogni velleità di sfondare la zona rossa, arretra verso lo stadio Carlini. Una colonna di carabinieri attraversa piazza Alimonda, ormai sgomberata, e attacca il corteo in ritirata sul fianco: non con l’intenzione di respingerlo, ma di spezzarlo. Non solo: l’attacco è effettuato senza copertura, contrariamente a quello che sta succedendo in via Tolemaide, dove la polizia sta ben attenta a procedere compatta, mandando avanti gli idranti e i blindati. Il più vicino gruppo di agenti di PS staziona in Piazza Tommaseo, quasi 300 metri più indietro. Il risultato è che, fallito l’ attacco, la reazione dei manifestanti, infuriati e superiori per numero, costringe i carabinieri, rimasti allo scoperto, a una lunghissima fuga che finisce nel modo che sappiamo. E’ questa l’ultima azione che vede coinvolti i carabinieri.
Il corteo del 21 luglio
Non a caso il giorno dopo, in piazza, non c’è un solo carabiniere. L’ordine pubblico verrà gestito soltanto da poliziotti e finanzieri. La motivazione ufficiale è che questo rispecchia la "normale alternanza" tra i corpi. Verso le 14:00 un gruppo di 400 persone (valutazione del Ministero) esce dal corteo e va a fronteggiare la polizia schierata a piazzale Kennedy. Non attacca gli agenti, si limita a urlare slogan: la polizia risponde con lacrimogeni, senza caricare. Il gruppo comincia ad accatastare transenne metalliche e sedie di plastica sottratte al Meeting Point. E’ corretto notare che questi giovani non hanno l’aspetto di Black Bloc e che in realtà non sembrano corrispondere a un gruppo organizzato. E’ importante dire con assoluta chiarezza che i cosiddetti "scontri di piazza Rossetti" non sono mai esistiti. Durante i successivi 45 minuti non avvengono devastazioni: il tutto si limita a un fronteggiamento in cui agenti e manifestanti sono sempre distanti almeno un centinaio di metri. Solo a questo punto compaiono personaggi identificabili come Black Bloc. Durante tutto questo tempo, i trecentomila del corteo continuano a sfilare disinteressandosi della scaramuccia, nonostante la tensione sia altissima. SI segnalano episodi in cui presunti Black Bloc vengono allontanati a forza dagli stessi manifestanti.
La polizia ne approfitta per schierarsi lungo le vie perpendicolari al lungomare di Corso Italia e a quelle di via Rimassa (dove sfila il corteo girando dal lungomare verso Piazza Ferrari, sede del comizio finale). Quando finalmente la PS si muove dietro i blindati, la manovra non ha affatto l’ aspetto e l’intenzione di una carica. Assomiglia molto di più a una manovra militare a tenaglia perfettamente studiata. La lentezza dell’avanzata consente infatti a Black Bloc e violenti di eclissarsi (vale la pena ricordare che durante i due giorni di scontri non viene arrestato neanche un Black Bloc): la parte pacifica del corteo finisce invece esattamente in mezzo alla tenaglia della polizia. Il risultato è che, all’altezza di piazzale King, il corteo si spezza in due: e che i due tronconi vengono ulteriormente "sezionati" dai reparti che escono dalle vie laterali, dando il via alla caccia all’uomo e ai pestaggi ampiamente documentati da tv e giornali.
Per quanto riguarda ciò che succede in serata, cioè l’assalto alla Diaz, non esistono nuove immagini che documentino cosa succede "prima" dell’uscita dei feriti. E, ovviamente, tantomeno per Bolzaneto, dove ci si può basare solo sulle testimonianze
Davide Ferrario, 3 luglio 2002

COSA E’ SUCCESSO A GENOVA- E PERCHE di Davide Ferrario

Il problema della documentazione sui fatti di Genova non è la mancanza di immagini e documenti (tutt’altro...): è che, fin dall’inizio, ci si è concentrati su episodi, il più clamoroso e tragico dei quali è certamente quello di piazza Alimonda. A un anno di distanza, l’errore che si sta commettendo è di cercare la verità dietro a un grottesco quanto macabro balletto di perizie, ignorando
il disegno complessivo dei fatti e le responsabilità.. Disegno che penso si possa ricostruire, al di là dei sospetti sulle infiltrazioni, basandosi sia su fatti ben documentati (vedi qui accanto), che sulla loro interpretazione.
Il punto cruciale della giornata di venerdì 20 è l’attacco dei carabinieri al corteo delle "Tute Bianche".
Attacco ingiustificato sia dal punto di vista "formale" che strettamente pratico: il corteo, infatti, è ancora sul percorso autorizzato e non ha messo in opera alcuna azione aggressiva. Ma, prima di tutto: che ci fanno i carabinieri lì? La polizia, infatti, si è attestata in forze, con uomini e mezzi, davanti a Brignole: sta aspettando un eventuale sfondamento lì. Il blitz dei carabinieri, invece, taglia fuori completamente la PS dalla gestione della piazza. Un particolare è da notare: in funzione di ordine pubblico i carabinieri sono, per legge, comandati da un funzionario di PS. Ma non se ne vede traccia nella manovra di via Invrea, mentre il funzionario è chiaramente riconoscibile dalla fascia tricolore al momento dell’attacco in via Tolemaide. Solo che non si trova davanti ai carabinieri, ma dietro. In poche parole, la carica non è comandata da lui. Una volta partita, non gli resta che sbracciarsi per far affluire i blindati di supporto. Se partiamo dall’ipotesi che l’azione dei carabinieri è autonoma e non concordata, si spiegano molte cose che avvengono nelle successive due ore. Soprattutto, la profonda differenza di tattica e comportamento tra carabinieri e PS. I primi, dopo averla provocata, ingaggiano una vera e propria battaglia con i manifestanti; la polizia, costretta per due ore alla finestra, si muove invece con tutt’altra strategia, evitando accuratamente lo scontro fisico.
Che le intenzioni e le direttive di De Gennaro fossero "morbide" lo si può intuire da due fatti. In Commissione il questore Colucci ha parlato di un accordo con Luca Casarini per una "sceneggiata" intorno alla zona rossa: qualche botta "dimostrativa", un paio di manifestanti lasciati passare simbolicamente oltre le recinzioni e tutti a casa. Casarini ha smentito, anche se una voce del genere circolava il giorno stesso in piazza. Comprensibile che lo abbia fatto: politicamente non ci farebbe una bella figura. Eppure l’ammissione di Colucci non è affatto campata in aria. Una cosa del genere è proprio quello che avviene non lontano da lì, a Piazza Dante, dove convergono ARCI e pacifisti. Gli agenti usano idranti e lacrimogeni, senza picchiare nessuno e tre manifestanti entrano in zona rossa a mani alzate: immagini molto viste, ma che non sembrano aver sollevato una domanda abbastanza ovvia: come ha fatto ad aprirsi una di quelle gabbie fortificate che avrebbe dovuto resistere all’urto di un camion? Notiamo che la pressione del gruppo di piazza Dante è infinitamente inferiore a quella del corteo dei disobbedienti. Ma il punto è che, nonostante la tensione, nessuno si fa davvero male e si può dire che sia manifestanti che polizia ottengono quello che vogliono.
Il secondo punto riguarda il comportamento delle forze dell’ordine nei confronti dei Black Bloc. I quali, come è stato scritto, saranno anche abili a camuffarsi e infiltrarsi nei cortei: ma sicuramente non lo fanno venerdì 20. Per tutta la giornata restano un gruppo compatto di un migliaio di persone facilmente identificabili. Eppure essuno fa niente per fermarli: addirittura, a Marassi, i blindati si ritirano lasciando loro campo libero. Questo corrisponde alla scelta cinica, da parte dei comandi, di difendere esclusivamente la zona rossa, anche a costo di far subire alla città danneggiamenti e violenze. Salvo usare le azioni dei BB come utile arma di propaganda, in un clima che, dopo la pacifica e riuscitissima manifestazione del giorno prima, era ampiamente favorevole al GSF. Sempre però, evitando lo scontro, anzi - entro certi limiti - lasciando fare. E’ significativo, in questa fase, che, dove vengono impiegati, i carabinieri ubbidiscano regolarmente ai funzionari di PS (come il dottor Salvo, che ordina la sorprendente fuga davanti al carcere).
In via Tolemaide,invece, i carabinieri, tagliando fuori la polizia, non esitano ad attaccare un corteo di diecimila persone, con una ricerca deliberata dello scontro fisico. Contro i "Disobbedienti" si mette in atto un piano preordinato, che coinvolge uomini e mezzi - a meno che si voglia credere alla deprecabile tiritera della "mancanza di coordinamento interforze" più volte invocata in Commissione dai diretti interessati. Il nemico è scelto con precisione: i "Disobbedienti", rispetto ai pacifisti tout court, sono un nemico ideologicamente naturale e, dal punto di vista mediatico, ambigui nella loro pratica. Con questo colpo di mano ci si propone evidentemente di scatenare una battaglia che cancelli qualsiasi altro contenuto della protesta e sposti tutto sul piano della violenza. Fin dalla prima ora (e ancora oggi) è infatti questa la posizione sostenuta dal governo.
Durante un incontro con un gruppo di poliziotti che avevano visto Le strade di Genova , mi è stata prospettata da un agente un’ipotesi inquietante:
"A Genova si è cercato il morto, ma è capitato dalla parte sbagliata". Si noti che è un membro delle forze dell’ordine ad affermarlo. Preferisco non credere che un ufficiale dei carabinieri "cerchi" la morte di uno dei suoi: ma è evidente che, da parte dei carabinieri, il livello dello scontro è stato alzato fino a conseguenze pericolosissime.
In piazza a Genova sono scesi carabinieri giovani, molti di leva, "caricati" da mesi di voci su sangue infetto che gli sarebbe stato gettato addosso, da possibili sequestri di persona da parte dei manifestanti e così via. E’ di questi giorni il rinvio a giudizio del colonnello Antonio Monno, denunciato dai suoi stessi uomini, per la violenza fatta subire "per esercitazione" ai suoi reparti durante gli addestramenti pre-G8... Questo per capire come mai, a Genova, i carabinieri, sia a livello di reparto che a livello individuale, mettono in campo fin dall’inizio (e senza provocazioni) un uso della forza quasi mai commisurato alla situazione: con l’unico risultato di scatenare una risposta altrettanto violenta in un fronte di almeno mille-millecinquecento ragazzi . E’ una parabola che comincia con l’attacco immotivato di via Tolemaide e passa per l’ambiguo episodio del blindato abbandonato alla folla con tre carabinieri dentro (vedi qui accanto). Quel blindato bruciato è un simbolo ambiguo. Per il governo è il segno della violenza dei manifestanti; ma se si analizza la dinamica dell’episodio, c’è da rallegrarsi che sia finita "solo" così, e non certo per merito dei carabinieri.
La parabola si conclude, purtroppo, in piazza Alimonda. Personalmente, sono convinto che l’appuntato Placanica ha perso la testa e ha sparato solo per difendersi. Con il massimo rispetto per la meravigliosa famiglia Giuliani, trovo che tutti gli esercizi su distanze, deviazioni di proiettili e così via siano questioni secondarie. Il punto è un altro: come si è arrivati in quella situazione? Che senso aveva quell’attacco sconsiderato al fianco del corteo e chi l’ha comandato? Perchè si è provocata la reazione di una parte di corteo che si stava ormai ritirando? Piazza Alimonda era ormai sgombra, a quel punto: solo il fallito attacco e la fuga richiamano i dimostranti per l’ultima, drammatica scaramuccia. Con il suo tragico esito, il fatto di piazza Alimonda è il simbolo di una scelta strategica da parte del Comando dei carabinieri: intendere l’ordine pubblico come pura e semplice battaglia campale, scippandone la gestione ai vertici della Polizia, e "farla finita" col GSF.
E’ credibile che i carabinieri potessero fare una cosa del genere senza contare su una copertura poltitca? Molto si è discusso della presenza, nella sala operativa dei Carabinieri (polizia e carabinieri hanno due sale operative indipendenti), di tre deputati di AN, due dei quali ex-ufficiali dell’Arma
I diretti interessati hanno affermato di essere lì "per solidarietà e conoscenza".
Resta il fatto che Bornacin, Ascierto e Bricoli rimangono in sala operativa dalle 10 alle 17 : vale a dire dall’inizio delle azioni dei Black Bloc fino all’esaurimento del blitz dei Carabinieri: una "visita di solidarietà" singolarmente protratta Non dimentichiamo che De Gennaro, il capo della Polizia, era stato nominato dal centrosinistra. E che la contiguità ideologica tra carabinieri e Alleanza Nazionale è evidente (anche a livello di base, come dimostrano le foto del Duce nei portafogli degli appuntati e gli slogan urlati agli arrestati). Da quel che si vede in piazza, sembra chiaro che i vertici dei Carabinieri abbiano deciso di scavalcare de facto De Gennaro e i suoi, fautori di una linea di prevenzione, mettendoli di fronte al fatto compiuto e contando sulla copertura politica di AN. Sarebbe interessante capire quanto lo stesso Scajola sia stato vittima di questo piccolo golpe, soprattutto quando si è trovato a fare i conti con un manifestante morto. Ricordiamo che il governo si era insediato da soli due mesi e che certi equilibri erano ancora tutti da trovare. Mi rendo conto che nessuno dei diretti interessati confermerà mai tutto questo. Bisognerebbe infatti ammettere che i corpi dello Stato si sono fatti, se non la guerra, una spietata concorrenza. Però restano le numerose contraddizioni delle audizioni e gli scaricabarile surreali a cui, in Commissione, si è assistito, senza riuscire bene a capire chi comandava cosa. C’è, sotto tutto questo, una verità che incrinerebbe la credibilità stessa delle istituzioni: cosa che, comprensibilmente, nessuno dei funzionari e ufficiali interrogati si prenderà mai la responsabilità di ammettere. Ma si tratta della spiegazione più plausibile alla singolare inefficienza e volatilità della linea di comando di quel tragico venerdì.
La sera del 20 luglio ci si trova con la città devastata e un ragazzo morto.
portavoce del GSF presenti in Questura quella sera riferiscono di un clima tesissimo e dell’impossibilità di parlare con una controparte. Evidentemente, dietro le porte chiuse, stavano volando gli stracci. Non solo: quel ragazzo morto (e quella foto che fa il giro del mondo) catalizzano l’attenzione. Non bastano le distruzioni dei Black Bloc a giustificare quel fatto. Chi coglie subito il peso politico/mediatico della morte di Carlo Giuliani è il quotidiano della famiglia Berlusconi, Il Giornale, che il giorno dopo titola: "I no-global hanno trovato il loro martire".
Se la vittima, morto o il ferito grave, fosse stato dalla parte dei carabinieri, il movimento sarebbe stato politicamente sepolto. Ma quella sera avviene un altro fatto di estrema importanza: i DS annunciano che il giorno dopo non sfileranno con il GSF, come invece avevano annunciato. Così la mattina dopo nessuno sa bene cosa aspettarsi, nè quanta gente arriverà a Genova. Ma da mezzogiorno in poi si capisce che la manifestazione non solo si terrà, ma sarà imponente. E chiunque osservi il corteo si rende conto che sarà assolutamente pacifica. Anche perchè i carabinieri, "puniti", se ne stanno in caserma.
E’ a questo punto che i vertici della Polizia fanno la loro mossa "politica" , a cui non dev’essere estranea la presenza del vicepremier Fini, arrivato quella mattina. E su cui pesa lo sganciamento dei DS, riferimento politico di De Gennaro. Davanti al dispiegarsi di una manifestazione che trasformerebbe i tragici fatti del giorno prima in una enorme prova di forza politica e morale del movimento, la Polizia si muove con un’efficacia militare e strategica nettamente superiore a quella dei carabinieri. Si disinteressa degli scalmanati di piazza Rossetti, attendendo che il corteo sia sfilato per metà. Si muove solo a quel punto, per ottenere il massimo risultato dalla spaccatura dei manifestanti in due tronconi, secondo quanto spiegato sopra. Non solo: la linea è quella di intimidire fisicamente proprio i manifestanti più pacifici, segnatamente molti cattolici e pacifisti. Piano che, nell’immediato, riesce perfettamente. Tra i dimostranti di sabato, la sera, è palpabile una sensazione di avvilimento e sconfitta. Accreditatosi così presso il governo, De Gennaro diventa intoccabile: sarà infatti l’unico a non pagare, sacrificando solo qualcuno dei suoi (ma tutti i "dimissionati" passeranno poi ad altro incarico).
Quella che a prima vista sembra una vittoria, si trasforma però nel giro di poche ore in tutt’altro, a causa del lavoro dei mezzi di informazione. La presenza della stampa di tutto il mondo impedisce una gestione "italiana" dell’accaduto, a base di versioni ufficiali, come invece avverrà in Commissione.
Fin dai TG della sera si vedono immagini che, quantomeno, instillano nell’opinione pubblica il dubbio che la polizia abbia "esagerato" . La 7 mostra indiscutibili immagini di agenti travestititi da manifestanti. E’ a questo punto che scatta il blitz alla Diaz, in un clima di rabbia e confusione. Ma non si tratta di una "vendetta" o di una improbabile speranza di catturare gli ormai mitici Black Bloc. Credo che l’incursione in via Battisti abbia un altro senso. Si è molto parlato delle botte alla Diaz e poco del contemporaneo blitz al Media Center, dall’altra parte della strada, che la Polizia sosterrà essere stato un "errore". Sta di fatto che gli agenti che irrompono al Media Center si dirigono senza esitazione sui computer che contengono gli hard disk degli avvocati e nelle stanze occupate da Indymedia, portando via tutto quello che possono nonostante non abbiano un mandato. La sensazione è che il vero obiettivo sia proprio quello di far sparire le prove e le immagini. Il blitz però non serve, perchè dall’altra parte della strada, sotto l’occhio delle telecamere, sta succedendo qualcosa di ancor più grave. Ritengo che l’azione della Diaz abbia una sua dimensione "epocale": segna la fine di una strategia basata sulla credibilità delle versioni ufficiali, sulle veline delle questure. Nel Grande Fratello occidentale, d’ora in poi ciascuno sa di essere sorvegliato: anche i poliziotti.
Quello che avviene a Bolzaneto conferma il clima di "guerra santa" con cui parte delle forze dell’ordine hanno affrontato Genova. La valutazione finale (fatte salve le responsanbilità individuali di competenza della magistratura) è netta: contrariamente a quanto sempre affermato da Scajola, a Genova non si è per nulla "garantito il dissenso", nè tantomeno l’ordine pubblico e le proprietà dei cittadini. Che non si sia trattato di un piano premeditato, ma del risultato di una guerra tra i corpi della Stato non è una gran consolazione e non mitiga le responsabilità politiche del governo. Quanto ai carabinieri, principali responsabili del disastro (ma sostanzialmente passati indenni nella bufera) viene da chiedersi se la recente nomina di Guido Bellini, ufficiale dell’esercito, a comandante dell’ Arma (quando tutti si aspettavano, per la prima volta, un carabiniere) non sia la punizione del Palazzo per gli errori di Genova.
Davide Ferrario, 3 luglio 2002