FERRUA, Pietro. "Incontri e scontri con Italo Calvino"

FERRUA, Pietro (Piero) Michele Stefano (1930 - ....)

Incontri e scontri con Italo Calvino
Sulla mia supposta "amicizia"con Italo Calvino sono circolate a Sanremo molte innecessarie dicerie. Alcuni trovavano incredibile che, dato lo scarto di età, un’amicizia fra di noi fosse possibile. L’argomento, di per sé, non è affatto probante, perché ero un ragazzo precoce i cui amici furono quasi sempre maggiori di età, con differenze che andavano dall’uno ai cinque anni, rispettivamente con Mario Mignone, Renato Zaccari, Giuliano Martini, Guido Giorgi (il fratello Giorgio era invece uno dei pochi ad essere piú giovane di me), Carlo Mager (che frequentavo piú del fratello Paolo, pur mio coetaneo), Franco Martini, Franco Giordano, Libereso Guglielmi), con punte sino ai sette anni (Gerolamo Lanero) o addirittura ai sedici anni di scarto che mi separavano da Luciano Sceriffo.
All’estremo opposto vanno collocati coloro i quali, avendo letto distrattamente il mio libro su Italo mi attribuiscono un’intima amicizia con lui per via di alcune affettuose dediche al "caro Piero" ( i miei genitori e i miei amici intimi mi hanno sempre chiamato Piero, ragion per cui almeno tre dei miei libri, scritti in italiano, sono firmati Piero anziché Pietro, primo nome di battesimo, seguito da Michele Stefano, usati solo nei documenti ufficiali) ma che è invece Piero Dentone, chiaramente identificato nel libro, dunque solo un caso di omonimia.
Quando, il Primo Maggio 1986, chiacchierai per parecchie ore con la vedova Calvino nel suo appartamento romano, Le spiegai che non ero mai stato un "amico intimo" di suo marito, anzi, dissi un po’in tono di celia, piuttosto un "nemico intimo". Prima che le potessi raccontare come l’inimicizia (del tutto circostanziale e provvisoria) derivava da un’opposta concezione della Rivoluzione di Ottobre, m’interruppe dicendomi che Italo le aveva rivelato l’esistenza di un "nemico", che sarebbe stato anche l’uomo piú colto di Sanremo. La rassicurai, non si trattava di me, bensí di Gerolamo Lanero e le spiegai chi fosse stato.
Nei miei articoli precedenti o nel mio libro su Calvino mi limitai ad accennare ad episodi che fossero avallati da testimonianze di persone ancor vive e che potessero accomunarci nei loro ricordi: Libereso Guglielmi, Angelo Nurra, Tito Barbé, Gildo Carrugati (il quale, come me, frequentava Lanero e la ristretta cerchia degli appassionati del jazz che si riuniva periodicamente nella sua casa di San Martino, e che conosceva tutti i retroscena del suo dissidio con Calvino, risalente agli anni liceali) e qualche altro. Questa è invece l’occasione di consegnare altri ricordi, anche se meno documentati, prima che vadano persi o siano del tutto dimenticati.
I primi incontri risalgono all’inizio del periodo bellico. Avvenivano nelle sale cinematografiche di San Remo che, a quell’epoca, ne comprendeva cinque: Centrale, Supercinema, Sanremese, Matuzia e Regina. Entrambi ne eravamo assidui frequentatori, naturalmente ognuno per conto suo. Io ero un ragazzino undicenne, lui un giovanotto diciottenne. Non ci poteva essere dialogo fra di noi, piuttosto qualche borbottio e lamentela.Non si poteva però non notare quel "prepotente"che occupava tre posti per quel suo modo caratteristico di "spaparanzarsi", quando sedeva da solo durante le sessioni pomeridiane. Sempre con bracciate di libri e quaderni. Durante i numerosi intervalli (fine della prima parte, della seconda, fine del primo tempo, del secondo, ecc...) lui prendeva appunti. Una volta ebbi l’ardire di chiedergli se gli pareva che il cinema fosse il posto adatto per fare i compiti (noi schiamazzavamo e lo disturbavamo) e lui, senza scomporsi, mi spiegò pazientemente che scriveva sul film. Cosa che mi rimase impressa, ma di cui non riparlai né con lui (quando, anni dopo, lo conobbi ufficialmente) né con altri, sin dopo la sua morte.
A parecchi suoi amici, cui rivolsi la domanda, soprattutto a Duilio Cossu che lo frequentava quasi quotidianamente, non risultava che fosse stato critico cinematografico. Che la mia memoria mi tradisse? Stavo per abbandonare la pista, dopo aver consultato invano la collezione de L’Eco della Riviera, quando finalmente intervistai il dott. Francesco Kahneman, l’unico a confermare che Italo non solo s’interessava ma s’intendeva assai di cinema. Era addirittura il corrispondente, da Sanremo, del Giornale di Genova, allora quotidiano. Gli fui e gli sono rimasto riconoscente per aver confermato le mie rimembranze di adolescenza e avermi fornito il pezzo del mosaico mancante alla mia ricerca. Nel libro racconto quante e quali difficoltà provai prima di "scoprire" alcune delle recensioni cinematografiche del nostro Italo, caratteristicamente firmate I.c. (con la I maiuscola e la c minuscola, come farà poi anche con le sue collaborazioni ai giornali partigiani del dopoguerra). La considerai una delle scoperte piú importanti e originali del mio libro (Calvino non alluse mai a queste critiche cinematografiche in nessuna delle interviste concesse e in nessuno dei suoi scritti autobiografici) , anche se Laura Guglielmi mi ha fatto notare che Giorgio Bertone non me l’attribuisce nei suoi saggi bibliografici.
Il secondo, peraltro brevissimo, colloquio con Italo avvenne nell’autunno del 1943. Svolgeva alcune mansioni presso il Tribunale di Piazza Colombo (edificio che non esiste piú) e ogni tanto usciva per scambiare qualche parola col figlio del Prof. Zauli (mi pare si chiamasse Floriano) anche lui, come il padre, insegnante nella Scuola di Avviamento Professionale, sita nello stesso edificio, al di sopra del Mercato dei Fiori. Un certo giorno Italo si rivolse al figlio di Zauli, il quale additò Cagnin ( mi pare), che a sua volta lo diresse verso qualcun altro (forse Agostino de Gregorio, anche lui, come me, precoce antifascista [1]) e poi si presentò da me. "Dovresti portare d’urgenza questo bigliettino nel negozio di fiori di Bottini, accanto a Barillaro, in Via Vittorio [2] :sai dov’è? Non farti notare e torna subito"
Il messaggio era diretto a Kahneman [3] (mi pare si chiamasse Enrico) e gli suggeriva di nascondersi perché "sarebbero venuti a cercarlo". La mia irruzione frettolosa in negozio sollevò qualche perplessità, forse perché c’era un’avventrice che avrebbe potuto sospettare qualcosa. Comunque il messaggio era giunto a destinazione (seppi poi che il Kahneman era nascosto addirittura nel palazzo in cui abitavo io, al n. 9 di Via Gioberti, in un deposito appartenente al fiorista Bottini)Non è chiaro se Italo agisse a titolo personale o facesse già parte di un’organizzazione clandestina, né se in Kahneman proteggesse l’ebreo, l’antifascista o il fratello del suo compagno di scuola Francesco.

L’incontro successivo con Calvino avvenne qualche mese dopo a Berzi [4], ove mia madre ed io eravamo sfollati ( presso la nonna) non appena il rione in cui abitavamo a Sanremo, era stato dichiarato zona bellica.

Me lo vidi davanti, improvvisamente, assieme ad altri partigiani che portavano il fazzoletto blu delle bande del Cap. Umberto, a me note perché ne faceva parte mia cugina Ada Galletti, la quale ogni tanto veniva a rifornirsi di viveri presso i parenti, accompagnata da un certo Ormea5 [5]. Ero orgoglioso di lei non solo perché combatteva contro il nazifascismo, ma anche perché le donne armate scarseggiavano , anche fra i "garibaldini". Assieme ad Italo c’era qualcun altro che mi conosceva, forse Franco Giordano (ma non lo giurerei perché l’ho visto, a quei tempi, in tante circostanze), forse Ravotti (fratello di un croupier del Casino di Venezia che conoscevo sin da piccolo. Calvino sembrò riconoscermi e mi sorrise, ma disse solo: "Ah! Sei lí? " (scoprii poi che ra un suo modo caratteristico e laconico di esprimersi che adoperava addirittura anche col fratello). Avevano premura di giungere verso Ceppo prima del tramonto (seppi solo piú tardi che venivano tutti da una battaglia, forse quella di Coldirodi, e temevano forse di essere inseguiti). Mio cugino Franco Moriano si incaricò di dar loro indicazioni precise sui sentieri da seguire.
Non mi pare di aver piú rivisto Calvino (tranne forse accanto a Gino, nei pressi del cimitero di Bajardo [6]la domenica che scappai dalla mamma per raggiungere i partigiani ) sin quando, dopo la Liberazione, cominciai a frequentare la sede del PCI, allora in Corso Matteotti [7], dove adesso c’è il fotografo Moreschi (figlio). I comunisti, fra di loro, si davano tutti del tu, e io cominciai a darlo non solo ai fratelli Calvino, a Mario Baggioli a Ivar Oddone, ma anche a Buttafava e a Lantrua, molto piú anziani. Vedevo spesso Calvino da Rabino (in Via Corradi) dove ci recavamo a comprar libri d’occasione ( io quasi tutti i giorni, lui , in genere, solo il sabato, perché abitava ormai a Torino e veniva a trovare i genitori in fin di settimana). La madre la conoscevo poco, il padre, invece, era molto comunicativo. Lo incrociavo qualche volta a Pian del Re, da dove passava per andare, chissà dove, in cerca di funghi o a caccia di tordi e pernici. Mi faceva sempre un mucchio di domande e si lamentava immancabilmente dei figli "dormiglioni" che non si alzavano mai abbastanza presto per accompagnarlo nelle sue spedizioni. Io venivo da Berzi e andavo a piedi a San Romolo [8] a prendere la funivia per San Remo e la mamma mi buttava giú dal letto alle cinque, affinché potessi partire alle sei e arrivare in tempo per la corsa delle otto. A Mario Calvino qualche volta consegnavo dei giornali anarchici che gli mandava Renato Guglielmi, ma questo avveniva a Villa Meridiana
Dopo un breve "tirocinio", mi iscrissi alla cellula giovanile del PCI, anche se frequentavo già il gruppo anarchico. La strategia di Renato Guglielmi era quella della "penetrazione" nei partiti, per sapere quello che vi si tramava e anche per fare propaganda libertaria. Libereso Guglielmi assisteva alle riunioni della cellula di Baragallo e io quella del Centro. Secondo i bollini incollati sulla tessera da me custodita, la mia adesione ufficiale data dal settembre 1945, forse perché bisognava aver compiuto i 15 anni prima di essere ammesso. A quell’epoca era stata inaugurata la Scuola di Partito e le lezioni erano impartite da Mario Baggioli e Italo Calvino. Ponderosi ciclostilati [9]venivano distribuiti agli iscritti (io ero il piú giovane di tutti) e il libro di testo era la Storia del Partito Comunista (Bolscevico) dell’URSS. Si trattava di un vero "mattone" che, oltretutto, era una velenosa falsificazione storica. Avevo altre fonti disponibili, sugli stessi specifici avvenimenti , e non potevo perciò accettare la versione ufficiale che considerava i partigiani ucraini di Makhno come "anarcobanditi". La storiografia moderna ha ormai corretto gli errori politici commessi in Ucraina e a Kronstadt, ma a quei tempi , per rispettare la linea ufficiale del Partito, certi tasti non si potevano toccare. Contraddire due persone che stimavo e, inoltre, ben piú esperienti, colte e anziane di me, mi richiese uno sforzo enorme, ma ritenni che fosse ormai diventato per me un imperativo categorico quello di non lasciar passare sotto silenzio quelle affermazioni (e "deformazioni") astiose e ingiustificabili. Interrompere e contraddire Calvino, di fronte ad un pubblico ridotto ma assorto e convinto che il suo dire fosse vangelo, non fu opera da poco. Eppure accadde e, miracolosamente, quasi la metà della sala, appoggiò me. La rottura era ormai segnata e la diserzione fu massiva. Mi pare fossimo in undici, quella sera, a lasciare la cellula, e mi si accusò di disgregazione [10]. La maggior parte dei miei sostenitori aderirono con me al gruppo "Alba dei Liberi"della Federazione Anarchica. Era il trionfo che Renato Guglielmi ci aveva aiutato a conquistare, con saggi consigli e letture ben scelte.
Floriano Calvino, presente, l’indomani mi venne incontro ridendo, eravamo in via Marsaglia, e mi disse "Ti sei fatto suonare da mio fratello, ieri sera" e, dopo una breve pausa, soggiunse "ma avevi ragione". (Ripensai a questa sua frase il giorno della Commemorazione di Italo Calvino al Cinema Ariston, il 28 novembre 1986.
Mentre ero sul palco lo scorsi, dopo tanti anni che non ci vedevamo, seduto in platea accanto a Gino Napolitano. Sarei andato a salutarlo e, magari, ad intervistarlo per il libro che stavo scrivendo, ma quando si concluse la sessione venni accerchiato da una giornalista e da una laureanda, le quali avevano molte domande da rivolgermi. Quando finalmente mi svincolai, Floriano era sparito e mi si disse che era già ripartito per Genova. Quando, mesi dopo, tornai dall’America per concludere le interviste sul libro, appresi che anche lui era improvvisamente deceduto e fallí perciò il mio tentativo di includere la sua testimonianza nel mio saggio) .
Dopo un breve periodo di tensione, i miei rapporti col PC si ammorbidirono, perché rimanevano molti terreni d’intesa e di collaborazione. Mario Baggioli formulò per me uno scherzoso insulto: quando passavo di fronte al suo negozio e lui era appoggiato (spesso assieme ai suoi fratelli) alla vetrina o al muro esterno, mi salutava "Ciao nullista!". La risposta che avevo escogitato e che divenne proverbiale, era "ciao, camaleonte!" Solo noi sapevamo quel che c’era dietro, gli altri astanti ammiccavano…Poco dopo Calvino, che mi aveva tolto il saluto per qualche tempo, prese a trattarmi di "ciao, nullista!"anche lui e capii che c’era lo zampino di Mario. I comunisti non potevano ignorarci perché, anche grazie all’afflusso di militanti o simpatizzanti provenienti dalle loro file, la Federazione Anarchica Sanremese indiceva ogni tanto dei comizi che attiravano migliaia di ascoltatori. La nostra bacheca era stata danneggiata piú volte e la destra aveva addirittura fondato un "Centro studentesco antianarchico".
Italo Calvino era ghiotto delle caricature di Libereso (ne conservo tuttora alcune) di spunto antimilitarista, anticlericale e anticapitalista, che io andavo sovente a ritirare il sabato mattina a Villa Meridiana per affiggerle nella bacheca di Via Cavour, prima, spostata poi sotto il portico del Palazzo Comunale. Improvvisamente sbucava da dietro le aiuole, mentre noi eravamo nella serra, e diceva "Sempre complottando?" Si faceva delle gran risate. Quel che però non potevamo immaginare era che lui stesse scrivendo il bellissimo racconto ispiratogli dal giardiniere di suo padre, "Uno pomeriggio, Adamo" che descrive alcuni dei disegni di Libereso, tuttora in mio possesso.
Il sabato pomeriggio, quasi immancabilmente, incontravo Italo da Rabino. Un giorno mi consigliò di comperare L’agente segreto di Joseph Conrad e borbottò "quando l’avrai letto capirai perché". Era un romanzo con personaggi anarchici (o pseudo tali) ma Calvino non mi confidò affatto di stare scrivendo una tesi di laurea su quello scrittore.
Venne il Premio Viareggio, la fama, nuovi libri, ormai Calvino era diventato una personalità di spicco. A San Remo lo si vedeva sempre meno. Poi fui io a partire…per il reclusorio militare di Gaeta. Il mio rifiuto di servizio militare venne presto imitato da Angelo Nurra (il quale, oltre ad essere un grand’amico, era stato uno degli elementi di primo piano che aveva rassegnato le dimissioni dal PC, assieme a me, nel gennaio del 1946). Mentre era imprigionato a Torino, in attesa del processo per obiezione di coscienza, Italo andava a trovarlo, e gli portava caramelle e libri. Aveva imparato a conoscerlo meglio perché Angelo stava sostituendo Libereso come giardiniere a Villa Meridiana, e il Prof. Mario Calvino lo aveva preso a benvolere. Il padre di Calvino non visse abbastanza a lungo per cogliere i frutti dell’ insegnamento a lui prodigato, ma Angelo diventò esperto nel campo della fioricoltura e cominciò a collaborare ai giornali specializzati lasciando una gran dovizie di articoli.
Nurra scontò la sua pena a Peschiera, mentre io ero a Gaeta. Vi ricevetti alcuni pacchi dono dell’Einaudi ma, il mittente non essendo personalizzato, non seppi mai se ci fosse stato un intervento di Calvino o se i libri provenissero da altre fonti ( a Torino risiedevano allora sia il mio avvocato Bruno Segre, sia il futuro scrittore Guido Ceronetti, allora segretario della sezione italiana dell’Internazionale dei Resistenti alla Guerra). In una lettera dell’epoca , Renato Guglielmi mi scriveva che Baggioli gli aveva riferito che i giovani del PC erano solidali con me e stavano facendo una sottoscrizione per le spese processuali. Per una serie di circostanze non rividi mai Italo dopo gli anni di Sanremo e i nostri contatti avvennero sempre tramite tre intermediari: sua madre, Angelo Nurra, Gino Napolitano.
Nel 1957 fui io a scrivergli congratulandomi con lui per aver lasciato anche lui il PC, in seguito ai fatti di Ungheria, e di essersi avvicinato alle nostre posizioni. Lo informavo di esser diventato insegnante d’italiano e di poter analizzare i suoi testi coi miei studenti. Gli chiedevo qualche ragguaglio bibliografico. La risposta indiretta (tramite le nostre madri) non mi permise di concludere nulla. Poteva darsi che sua madre avesse deciso di rispondermi senza neanche consultarlo o avesse invece seguito sue precise istruzioni.
L’ambasciatore seguente fu Danilo Dolci, il quale veniva spesso a Ginevra (ove vivevo già dal 1954). Essendo io uno dei co-fondatori dell’attiva associazione "Amici di Danilo Dolci" era molto legato a me, oltretutto anche perché Aldo Capitini – che mi conosceva bene –gli aveva segnalato la mia presenza e disponibilità in Isvizzera. Danilo avrebbe voluto che andassi a lavorare con lui al Centro Studi e Iniziative di Partinico, ma io in Italia ero ancor ricercato per la mia diserzione dopo l’obiezione di coscienza e i quindici mesi trascorsi in prigione. Mi parlò di un’istanza in Parlamento e mi chiese chi mi conoscesse. Menzionai i nominativi di alcuni senatori e deputati con cui avevo avuto a che fare: gli Onorevoli Bartalini, Calosso, Giordani ed alcuni altri. Un primo tentativo in questo senso della fine degli anni ’50 fallí. Riuscí invece quello del 1977, grazie agli On. Accame e Canetti) . Danilo aveva anche pensato, assieme a Capitini, a un manifesto di scrittori, fra i quali Italo Calvino, che gli disse di conoscermi personalmente. Non se ne fece nulla anche perché, nel frattempo, ero stato espulso dalla Svizzera ed ero andato a vivere in Brasile. Quando Danilo venne in Brasile e trascorremmo qualche giorno assieme mi disse di aver perso di vista Calvino, che era andato ad abitare a Parigi.
Dal Brasile (probabilmente nel 1963) avevo mandato una cartolina ad Italo, piuttosto laconica: "le formiche argentine sono anche brasiliane" sempre all’indirizzo sanremese di Villa Meridiana. Anche se l’avesse ricevuta e avesse voluto rispondermi non avrebbe potuto perché , benché firmata, era priva dell’indirizzo del mittente. A me premeva soltanto fargli sapere che l’ iridomyrmex humilis non era solo una piaga della zona di Coldirodi nella quale aveva ambientato il suo famoso racconto. Né il Prof. Mario, né il figlio Italo, sono vissuti abbastanza a lungo per scoprire che la formica argentina non esiste piú… ma solo nel senso che ha cambiato nome: oggi si chiama "linepithema humile" secondo i mirmecologi contemporanei.
Nel 1968 lessi sulla stampa italiana che Italo Calvino aveva assistito al Congresso Internazionale delle Federazioni Anarchiche, tenutosi a Carrara e ciò mi rincorò. Consideravo la notizia quasi come una rivincita. D’altronde Italo aveva scritto sull’anarchismo con simpatia su Paradosso (a. V, nn.23-24 del sett.-dic. 1960, pp.11-18) e ne ero rimasto molto soddisfatto.
Nel 1974 scrissi il mio primo testo su Calvino. Si trattava di una comunicazione accademica presentata poi ad un convegno della Philological Association of the Pacific Coast, all’Università di San Jose State, dal 28 al 29 novembre 1975. Il testo del mio intervento venne poi pubblicato nella rivista Italica a. LIV,n. 3 , autunno del 1977, pp. 367-382, col titolo “Il sostrato sanremese nella narrativa di Italo Calvino". Oltre alle 25 copie degli estratti destinati all’autore, ne vennero stampati altri 100 da distribuire a Sanremo. In questo scritto rilevavo gli influssi dialettali e identificavo due personalità locali che avevano dato lo spunto a due personaggi indimenticabili: Biancone-Duilio Cossu de L’entrata in guerra a Libereso-Libero Guglielmi (del racconto "Un pomeriggio, Adamo") e raccontavo alcune circostanze della loro amicizia con l’autore. Il fascicolo andò a ruba. Oggi è esaurito e viene venduto a prezzi d’antiquariato. Ma detto articolo provocò anche una pioggia di lettere e di domande e molti mi incoraggiarono a continuare la mia impresa rivelatoria sui personaggi, il che mi parve un’ottima idea. Ne rimandai però la realizzazione sine die e ciò avvenne solo dopo la prematura scomparsa dello scrittore cubano-ligure. Angelo Nurra si incaricò di consegnare ad Italo la copia che gli era destinata, con la mia dedica. Calvino mi fece ringraziare dal nostro "ambasciatore"che mi riferí prima per lettera, poi di viva voce il suo compiacimento nei riguardi dello scritto, senza nessuna allusione agli screzi del passato.
Nel 1977, grazie agli sforzi coniugati dei compagni socialcomunisti, il Ministero della Difesa riconobbe finalmente il mio statuto di obiettore di coscienza, concesse un’equipollenza fra la condanna da me scontata e la durata della ferma militare obbligatoria, applicando i condoni sopravvenuti e mi fu finalmente possibile rientrare in Italia dopo 26 anni di assenza ufficiale. Da quella data in poi trascorsi tutte le mie ferie a Sanremo (e dintorni) senza però mai incontrare Italo Calvino. Anch’io, come lui, ogni volta andavo a trovare Gino Napolitano (nella mia nuova sede del PC di Piazza Colombo) e sempre mi diceva che Italo era stato lí proprio un mese o una settimana prima.
Nei primi anni ’80 scrissi una sceneggiatura che venne pubblicata in varie versioni. Si intitolava "San Remo Lettrista". Nei dialoghi infilai un estratto del racconto di Calvino "La strada di San Giovanni" [11]. Siccome la mia citazione superava le cento parole consentite dalla legge dei diritti d’autore, ritenni di dover chiedere l’autorizzazione a Italo e ne incaricai Angelo Nurra. Il tempo passava e si doveva andare in tipografia. Insistetti inutilmente e Nurra mi rispose che l’aveva cercato a Torino presso l’Einaudi, ove si recava ormai molto raramente, e non aveva il numero di Parigi. Probabilmente non aveva mai avuto a che fare con agenti letterari né con editori e mi tranquillizzò dicendo che "fra di noi non c’è bisogno di tante cerimonie". Quando raccontai questo episodio alla vedova Calvino [12] ne rimase allibita. Per fortuna potei dimostrare che quel testo figurava in una di quelle riviste d’avanguardia a tiratura limitata che non si vendono in libreria [13]
. Non ne avevo ricavato un soldo e questo era quel che dissuase gli avvocati, che si muovono solo quando ci son di mezzo miliuoni. La cosa finí lí.
Nel 1985 Gino Napolitano mi fece la proposta di condividere il microfono in una tavola rotonda con Calvino alla Festa dell’Unità dell’anno successivo. Lasciai che scegliesse Calvino il soggetto di discussione. Poi Gino mi fece sapere, tramite Arturo Lavagna, che sarebbe stato qualcosa sull’America, tema sempre di moda. Per me andava bene. Dovrei dire, "sarebbe andata bene". Ma non andò bene affatto. Il 18 settembre del 1985 la mamma mi telefonò ad Interlaken, ove stavo interpretando al congresso mondiale dei Postelegrafonici, per farmi gli auguri di buon compleanno, ma anche per annunciarmi la dolorosa notizia…
Questa, senza fronzoli, esagerazioni, millanterie, travisamenti, la ricostituzione dei miei rapporti con Calvino, compagno di strada e di idee poi semi-avversario per un decennio. Se c’è qualcosa da aggiungere Libereso è uno dei pochi a poterlo fare, essendo amico ed ispiratore di entrambi e che, in varie occasioni, ci ha osservati simultaneamente.
Piero Ferrua

[1Augusto (mi pare che da adolescenti lo chiamassimo Agostino) ed io eravamo inseparabili. Poi ci si perse di vista. Oggi è pensionato e si occupa di regia teatrale. È stato lui , nel corso dell’ultimo incontro in anni recenti, a raccontarmi un episodio del tutto cancellato dalla mia memoria. Si tratta del rifiuto di alcuni di noi, di sottoscrivere alla’acquisto del mitra per la Repubblica Sociale (si era dunque dopo l’8 settembre 1943, all’inizio dell’anno scolastico) propostoci dalla Professoressa Cavalli, insegnante di italiano. Non mi stupirei che fosse stato lui, perciò, a rispondere a Italo di rivolgersi a me. Faccio affidamento alla sua memoria privilegiata.

[2Oggi Corso Matteotti, dopo essere stata ribattezzata Corso Ettore Muti, ma i sanremaschi della mia età continuano a chiamarla via Vittorio (anche se nessuno ricorda se fosse Vittorio Emanuele I, II o III.

[3Raccontai questo episodio al Dott. Francesco Kahneman, suo fratello. Mi disse di non esserne a conoscenza. Gli chiesi di accompagnarmi a Bordighera per intervistarne in merito suo fratello, ma mi rispose che sarebbe stato inutile: affetto dal morbo di Alzheimer non ricordava nulla.

[4Frazione di Bajardo, sita nella vallata antistante a 572 m. di altitudine.

[5. Non ho mai saputo se fosse un cognome o un nome di battaglia.

[6A Bajardo c’era la corriera, ma io la pativo. La funivia era il peggior male (perché soffrivo anche di vertigini). Parecchie volte tiravo dritto a piedi sino a Sanremo, via San Giacomo e Madonna della Costa.

[7Oggi Corso Matteotti, dopo essere stata ribattezzata Corso Ettore Muti, ma i sanremaschi della mia età continuano a chiamarla via Vittorio (anche se nessuno ricorda se fosse Vittorio Emanuele I, II o III.

[8A Bajardo c’era la corriera, ma io la pativo. La funivia era il peggior male (perché soffrivo anche di vertigini). Parecchie volte tiravo dritto a piedi sino a Sanremo, via San Giacomo e Madonna della Costa.

[9Alcuni se ne ricordano (copertina nera?) ma nessuno ha mai saputo dirmi dove trovarne copia. Tutto il materiale della nostra cellula dovrebbe trovarsi negli archivi provinciali, ceduti all’Isituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea. Il Prof. Francesco Biga, all’epoca della ricerca non era riuscito a trovarne uno, ma si riprometteva di insistere.

[10Negli archivi del PC di Sanremo sussistono molti documenti confidenziali sulle "mene"anarchiche in seno al Partito. Ne ho trovate alcune che si riferiscono a "Romeo" ossia Archimede Gioffredi, a "Pier delle Vigne" cioè Piero Sughi e ad altri ancora, ma non ho rinvenuto nessun carteggio che alludesse alla cellula giovanile e al mio caso

[11Poco noto perché era apparso su Questo e altro (a.I, n.1, del 196[2?], pp.33-44, una nuova rivista lanciata dalla casa editrice Lampugnani Nigri, sotto la direzione dei suoi amici Geno Pampaloni e Vittorio Sereni. Uno dei piú bei brani dello scrittore a tutti i livelli. Sul piano personale è uno dei piú accorati ritratti di padre (SUO padre) esistenti in letteratura e che descrive e caratterizza il Prof. Mario Calvino non solo fisicamente, ma anche nelle sue insospettate dimensioni metafisiche. Me ne son servito spesso come esercizio di analisi logica e grammaticale e c’era di che: una frase di trenta righe dove trovarla altrove? Una frase di 350 parole, con qualche parentesi, alcuni incisi, e non meno di 50 virgole, senza che ci si perda? Un grande esercizio di stile, un omaggio al latino, uno sberleffo alla concisione francese, al pragmatismo americano. Diventa un gioco cercare il soggetto e i complementi.

[12Non ricordo bene se nel suo appartamento romano, al momento dell’intervista, oppure piú tardi, per corrispondenza..

[13Si trattava di “San Remo Lettrista in “Cinema INI” in Sekondo Kwaderno, 1984, 31-53, contenente hna lunga citazione di Italo Calvino tratta dal racconto “La strada di San Giovanni”.