FERRUA, Pietro. "Indignados/ “Occupy Wall Street” visto da Portland, Oregon"

FERRUA, Pietro (Piero) Michele Stefano (1930 - ....)Portland (OR, USA) Occupy Wall Street

Quarant’anni or sono Portland era considerata una città mediocre. Due esempi: veniva scelta come prototipo della mentalità dell’americano medio e prescelta come sede di punizione per un impiegato governativo di alto livello che avesse commesso qualche marachella (un po’ come la nozione del “domicilio obbligato, coatto o meno, in Italia).
Oggi le cose sono alquanto cambiate e quel che succede a Portland è spesso scaraventato fotograficamente nel maggior quotidiano nazionale, il New York Times (c. il numero di sabato 29 ottobre, sezione A, p. 10). Nell’edizione odierna del giornale nuovaiorchese viene infatti riprodotta la metà del bel manifestino in cartoncino colorato che veniva agitato dai manifestanti della dimostrazione avvenuta ieri in piazza nel massimo centro urbano dell’Oregon. Qui va fatta una precisazione importante. L’illustrazione apparsa a p.10 fa vedere soltanto lo slogan “i am the 99%” e non la parte inferiore che potrebbe essere concepita come un’apologia dell’Anarchia. Raffigura difatti 4 dimostranti in rosso che agitano quattro cartelloni rossi con, dirimpetto, uno che sventola una bandiera nera e altri, vestiti di nero, che fanno il segno della vittoria o innalzano un cartellone nero. La simbologia è piuttosto chiara anche se purtroppo non corrisponde alla realtà. Difatti sia marxisti che anarchici non sono compresi nel programma, né come oratori, né come co-organizzatori di questa dimostrazione. Forse per questo i rari poliziotti che circolano non indossano la tenuta anti-sommosse e rassomigliano ad innocui vigili urbani. Come si vedrà non lo dico negativamente.
Ma chi sono gli organizzatori di questa manifestazione e a che orizzonte appartengono gli oratori?
Le chiese sono ampiamente rappresentate: 5 oratori. Nessuna organizzazione atea o agnostica lo è. Ma non importa.
I parlamentari sono rappresentati, ma solo i democratici, i repubblicani si sono astenuti e nessuna formazione di sinistra è ufficialmente presente: Ma non importa.
L’unico sindacalista è membro della centrale riformista, l’AFL-CIO. Nessun sindacato autonomo: Ma non importa.
Perché dico che non importa? Intanto perché s’è parlato molto di rivoluzione, non nel senso di affrontamento violento, di barricate e bombe. Piuttosto di rivoluzione economica (dalla bocca di uno degli oratori) o, implicitamente, di rivoluzione morale, delle coscienze, dei comportamenti. Non è già di per sé una rivoluzione scendere in piazza, rivendicare, opporsi al capitalismo sfrenato, avanzare proposte alternative? Per un popolo avvezzo all’apatia, socialmente inconsapevole, che misconosce il resto del mondo e cha ha recentemente scoperto (tramite i film di Moore, i libri di Chomsky, le statistiche delle Nazioni Unite, dell’UNESCO, dell’OMS, dell’OIL) che il governo continua a propinar menzogne e a celare la verità agli americani, che questo paese ha cessato di essere un paradiso (semmai lo èstato) e che c’è molto cammino da percorrere in campo sanitario, assistenziale, educativo, sociale e via di seguito, scendere in piazza è una rivoluzione, prendere in mano le redini della propria vita, abituarsi alla solidarietà dopo decenni e secoli di disciplina, di cieca ubbidienza, di cultura tendente alla concorrenza (essere i “primi” in tutto, essere “i migliori”), cercare e proporre delle soluzioni, riunirsi con sconosciuti, discutere, negoziare, praticare, insomma, la democrazia diretta.
La rivoluzione in America non la possono fare le sparute compagini neo marxiste o socialiste libertarie, la può fare solo il popolo desto, alla maniera locale. Creando strutture alternative (come le banche alternative il cui elenco circolava ieri), nella lotta ecologica (contro i costosi e dannosi oleodotti progettati in comune dal Canada e dagli Stati Uniti), fondando grandi cooperative di produzione, trasporto e consumo, creando fonti di lavoro, esigendo una più equa remunerazione per il lavoro svolto, e così via
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Anni or sono quando proponevo una lotta comunalista per frenare il caro vita citavo due esempi. Il primo era quello dell’alto costo del ritiro dei rifiuti. Facevo un paragone fra Portland, Nizza e San Remo, città nelle quali alloggiavo alternativamente, pagando lo stesso canone, con la differenza però che nella mia città nativa la raccolta della spazzatura avveniva due volte al giorno mentre a Portland passavano una sola volta alla settimana. L’obiezione immancabile era: e chi paga la differenza? A nessuno veniva in mente che il costo superiore era, a Portland, quello dell’intermediario, rapace o meno, ma comunque superfluo. Il dilemma era invece quello del servizio municipale contro la privatizzazione. Oggi c’è già chi pensa ad un ritorno al sistema dei servizi pubblici Il secondo esempio portava sul servizio del Pronto Soccorso. In America, chiamare un’ambulanza è costosissimo soprattutto se non si è assicurati. A San Remo, con mia somma sorpresa, l’ unica volta che me ne sono servito è stato gratis, a carico della Croce Rossa. Al volante un infermiere, accanto a lui un medico, entrambi volontari. Quando ho chiesto se dovessi qualcosa mi hanno risposto: il servizio è gratis, ma nulla la impedisce di fare un’offerta, se e quando può.
In fin dei conti non vedo perché la Croce Rossa Americana non potrebbe offrire lo stesso servizio. In fin dei conti, quando doniamo il sangue, impiegando a volte un tempo prezioso o accorrendo alla loro clinica quando chiamati d’urgenza, non ci stiamo sdebitando in anticipo per un’eventuale futura nostra necessità?
Queste e altre proposte concrete del genere avrei formulato se mi fosse stato proposto il microfono. Non è avvenuto perché la dimostrazione era programmata in tutti i particolari e se si fosse annunciato il microfono libero l’incontro, durato ormai due ore, si sarebbe eccessivamente prolungato.
Una mia amica era delusa per la scarsa presenza. Ci saranno state duemila persone, il che in una città di mezzo milione di abitanti non rappresenta certamente il 99%, ma ci si deve render conto che mobilitare grandi masse, nel bel mezzo di una giornata lavorativa non è facile, soprattutto all’ora di pranzo. In più, dopo altre manifestazioni già avvenute nei giorni precedenti e prima di nuove dimostrazioni con data già annunziata.
All’insegna di This Land Is Our Land l’evento aveva un sapore un po’ patriottico e, forse, non ci si è neanche accorti che il programma conteneva un pezzo ben noto del cantautore anarcosindacalista Guthrie, attivo militante del glorioso sindacato IWW, che i Guthrie (Woodie e Arlo, padre e figlio) hanno cantato per sette decenni: This Land Is Your Land.
Un plauso sincero merita l’iniziatore, Tom Lauderdale, noto pianista locale, fondatore del complesso Pink Martini, coadiuvato da brave cantanti e da ottimi solisti. Gli oratori sono stati inaspettatamente “spinti” e l’incontro è risultato positivo e pervaso da uno spirito nuovo. Ci lascia con la speranza – in passato troppo spesso delusa – di stare assistendo al sorgere di una nuova America, che pretende autogovernarsi. Proprio quello che, anche in modo anomico, corrisponde ai dettami di quel che noi chiamiamo anarchismo.
Pietro Ferrua