2003 Napoli.

LOCKE, JohnHOBBES, Thomas (1588-1679)

Venerdì 5 dicembre

Ore 15,00 - Apertura convegno e accoglienza
A seguire:
 Mostra documentaria e illustrazione dei documenti presentati
 Franco Schirone su carteggio (inedito) Malatesta – Benetti
 Gigi Di Lembo: La fondazione di Umanità Nova

 

Marco Celentano: La volontà libertaria, Malatesta e i problemi del nostro tempo Abstract

Da Hobbes a Locke, da Sade a Nietzsche, se si fa eccezione per Stirner e pochi altri, la libertà appare sempre come qualcosa che la natura e la società possono offrire solo a pochi, e precisamente a coloro che sono disposti a guadagnarsela a spese della libertà altrui. La filosofia politica, quando non si inchina all’autorità statale e alla supremazia delle leggi, si ribella ad esse in nome di un individuo che si considera eccezionale, e perciò dotato di privilegi che non sono concessi a tutti. Questo tipo di ribellione contro il potere statale, come accade nelle rivolte aristocratiche di Sade e di Nietzsche, è in grado di svelare molti meccanismi del potere, ma rivendica la completa libertà solo per pochi, e accetta in cambio la schiavitù dei molti.
Nel comunismo libertario, quale lo intese e praticò Malatesta, trovano, invece, una sintesi, due irrinunciabili esigenze:
La piena libertà, per ogni singolo individuo, di maturare, attraverso le esperienze, le proprie scelte e i propri criteri di scelta.
La uguale libertà di tutti, intesa come scopo primo dell’organizzazione sociale, e realizzata attraverso una abolizione dei privilegi economici, politici, sociali e culturali.
Con il problema di riproporre, nella propria epoca, e a partire dal proprio contesto di vita, pratiche utili alla realizzazione concreta di tale sintesi, deve misurarsi, a mio avviso, ogni volta di nuovo, l’anarchismo.
Se il programma malatestiano appare, a tale scopo, ancora valido, nelle sue linee portanti, esso è tuttavia, inevitabilmente, da problematizzare e ripensare, per confrontarsi con la mutata realtà storica.
L’insegnamento suo più prezioso resta, forse, in quello spirito problematico, aperto alla libera sperimentazione, antidogmatico, che Malatesta espresse, attraverso la parola e l’azione, in tutta la sua vita di anarchico.
  "A Errico", di Anna Redi, dal libro "Autobiografia mai scritta" di Errico Malatesta (Edizioni Spartaco). Musiche di Vittorio Sbordone
 Dibattito
Ore 20,00 – Cinema, musica (Alessio Lega) e convivialità

Sabato 6 dicembre

Ore 9,30 – Relazioni:
 Enrico Voccia: Critica della democrazia in Malatesta

 

Gianfranco Careri: Malatesta e il movimento di classe in Italia Abstract

Malatesta partecipa fin dalla nascita della I° Internazionale in Italia, all’azione e al dibattito che percorre il movimento dei lavoratori. Le scelte di fondo operate fin dall’inizio (L’Internazionale Antiautoritaria, Rimini, Saint-Imier, l’opposizione al centralismo autoritario marxista) caratterizzano in seguito le altre fasi storiche in cui Malatesta agisce all’interno di forti e complessi conflitti di classe.
L’esperienza fatta ad Ancona dal 1897 lo porta a lavorare direttamente a contatto con nuclei compatti di proletariato (portuali e operai avventizi in lotta con camorra, stato e aristocrazia operaia) e sottoproletariato disposti alla radicalizzazione del conflitto e a recepire le indicazioni dell’anarchismo. E’ in questi anni che il pensiero e l’azione di Malatesta cominciano a saldarsi fortemente con le aspettative di trasformazione sociale delle classi subalterne che fanno di Malatesta quasi un mito.
La Settimana Rossa, l’opposizione all’interventismo e alla guerra fino alla grande stagione dell’occupazione delle fabbriche fanno si che Malatesta, pur operando nell’ambito specifico anarchico e non in quello sindacale, sia uno dei maggiori protagonisti nell’evolversi del conflitto di classe in Italia, portando forti contributi anche alle posizione che il sindacalismo rivoluzionario man mano svilupperà.
Il rapporto, con l’Unione Sindacale Italiana e col suo segretario Borghi, con cui dividerà lotte, carcere e processi, fanno parte della complessità della figura di Malatesta così come la sua teoria del gradualismo rivoluzionario, l’antiparlamentarismo e l’antielettoralismo troveranno fertile terreno di dibattito e di scontro all’interno del movimento di classe tutto.
La scelta del sindacalismo rivoluzionario (USI, CNT, ecc.) di non confluire nell’Internazionale Rossa egemonizzata da Mosca e di costituire l’AIT, fa ripercorrere infine al Malatesta (pur da esterno negli avvenimenti) l’inizio della sua storia, con la separazione tra l’Internazionale Antiautoria e quella verticistica ed autoritaria di Marx.

  Misato Toda: anarchismo come metodo della pace dal punto di vista malatestiano
 Enzo Papa: L’individualismo anarchico, la polemica Emile Armand Malatesta
 Dibattito
 Peppe Furia: un compagno molto speciale

 

Peppe Aiello: Malatesta e il satiro. Delinquenti e pazzi nella società liberata. Abstract

Il lettore che, da una prospettiva libertaria, incontri anche una piccola parte di quanto Malatesta scrisse nella sua lunga vita di rivoluzionario, e di scrittore in quanto rivoluzionario, resterà inevitabilmente colpito dalla lucidità nell’analizzare gli eventi del suo tempo, dalla capacità di individuarne i punti nodali, dalla nitidezza del suo giudizio nei confronti degli accadimenti che attraversarono gli anni nei quali visse. I suoi scritti, ed in particolar modo le pagine che dedicò alla critica dell’autoritarismo, sotto qualsiasi spoglia si presentasse, hanno ancora oggi la possibilità di costituire un ottimo strumento per chi sente il desiderio, la necessità, di cambiare radicalmente il mondo, anche se si tratta di un mondo molto diverso – ma davvero poi tanto diverso? – da quello di cui parlava Malatesta. Tuttavia, per rendere le sue idee – idee sempre strettamente legate ad una movimentata pratica durata oltre mezzo secolo – ancor più efficaci, abbiamo il compito di sottoporre alcune di queste ad una decisa e chiara critica.
L’azione di Malatesta si basò sempre sul convincimento che la rivoluzione fosse, se non imminente, comunque non troppo lontana. Erano anni differenti dai nostri, e l’insurrezione violenta era una parola d’ordine scontata non solo per gli anarchici ma per tutto il movimento rivoluzionario – e di fatto le insurrezioni violente si susseguivano anno per anno e con esse le repressioni e i massacri ad opera delle forze dello stato. Malatesta avvertiva l’esigenza, per il movimento anarchico, di saper dare delle risposte immediate nel momento della rivoluzione e considerò sempre prioritaria l’organizzazione sociale e la distribuzione delle risorse. Viceversa non risulta che amasse troppo evidenziare la necessità di distruggere, sin dal primo momento, qualsiasi forma di struttura detentiva.
Con ciò non si vuole sostenere che Malatesta fosse contrario alla distruzione delle galere – una affermazione del genere potrebbe essere smentita in un attimo da ogni sia pur mediocre conoscitore delle sue pagine, bensì che considerasse il problema come subordinato rispetto all’edificazione della libera convivenza.
Per citarne le parole: "Distruggere le istituzioni, i meccanismi, le organizzazioni sociali esistenti? Certamente, se si tratta di istituzioni repressive, ma esse in fondo non sono che piccola cosa nella complessità della vita sociale. Polizia, esercito, carcere, magistrature, cose potenti per il male, non esercitano che una funzione parassitaria. Sono altre le istituzioni e le organizzazioni che, bene o male, riescono ad assicurare la vita all’umanità; e queste istituzioni non si possono utilmente distruggere se non sostituendole con qualcosa di meglio."
Tra le "cose da fare" al momento dell’insurrezione sembra dunque citare malvolentieri in maniera esplicita il problema di cosa fare degli edifici carcerari, il problema dei "criminali", dei "delinquenti".
Ma quando interpellato, anche incalzato, su questo punto da alcuni veementi compagni non si tirò indietro dalla polemica ed esplicitò concisamente ma senza possibili equivoci il suo pensiero in merito: le carceri vanno svuotate ma chi ha dimostrato di poter nuocere agli altri, il pazzo pericoloso, il satiro che stupra le bambine (odiernamente si chiamerebbe pedofilo e non fa troppa distinzione tra infanti maschi e femmine) deve essere reso innocuo e deve essere curato.

Questa idea della cura obbligatoria fu osteggiata già al tempo da alcuni anarchici ed è per noi ancor più indispensabile considerarla ora come un punto debole del pensiero malatestiano.
 

Gigi Di Lembo: Gradualismo rivoluzionario e rivoluzione permanente in Errico Malatesta Abstract

Malatesta, arrivato alla maturità della sua esistenza e della sua militanza, che poi in gran parte sono un tutt’uno, traccia una nuova rotta per l’azione anarchica e riflette sulle peculiarità dell’ anarchia e dell’ anarchismo come patrimonio di idee e movimento di lotta.
Semplificando al massimo, come osserva N. Berti, M. arriva allora a sganciare l’una e l’altro da qualsiasi forma di determinismo, sia economico, sia naturalistico o giusnaturalistico, sia filosofico, sia pseudoscientifico. L’Anarchia è un esigenza etica sentita da chi soffre per la propria o l’altrui servitù, sia economica o civile o morale, sentita in altri termini da chi non può essere felice se non nella felicità di tutti. Gli anarchici hanno questa esigenza e soprattutto hanno la volontà di costruire una società che la soddisfi; cioè, come minimo, senza governi (di pochi o di maggioranze) e senza padroni (privati o di stato), una società quindi di uomini liberi e solidali basata sui liberi accordi. Se l’Anarchia è priva di qualsiasi necessità intrinseca, è la Volontà di arrivarci ad assumere il carattere di fattore portante, d’altronde M. si è ormai convinto che il vero motore dell’ intero svolgimento umano, nel bene e nel male, sia, e sia stato sempre, un fatto di volontà.
Esigenza etica e Volontà come unici motori dell’Anarchia comportano però non pochi problemi: Intanto pone gli anarchici nella condizione di minoranza agente; non solo nei momenti cruciali quando per M. sono sempre le minoranze il fattore determinante, ma anche nell’agire, per così dire, quotidiano. Inoltre impone loro l’assoluta coincidenza tra fini e mezzi, pena muoversi in modo assurdo o controproducente: in sostanza l’anarchia non la si può imporre . La Volontà poi incontra dei limiti oggettivi: quelli dati da una natura tutt’altro che benigna, quelli dati dal momento che attraversa la società e, soprattutto, quelli dati dalla logica interna ad ogni azione:
legge generale, assiomatica dell’evoluzione [è] che niente avviene senza causa sufficiente, che nulla si può fare senza avere la forza di farlo […] l’anarchia non può essere l’effetto di un miracolo […] la coscienza, la volontà, la capacità si svolgono gradualmente e trovano occasione e modo di svilupparsi nel graduale modificarsi dell’ambiente, nella realizzazione delle volontà a misura che si formano e diventano imperiose, così l’anarchia non può avvenire che a poco a poco, crescendo gradualmente d’intensità ed in estensione. Non si tratta dunque di fare l’anarchia oggi o domani o tra dieci secoli; ma di camminare verso l’anarchia oggi, domani, sempre.
M. scarta quindi una rivoluzione “anarchica”, non tanto per le difficoltà esterne ma per evitare il “giacobinismo”: in sostanza perché l’anarchia ha bisogno di essere liberamente scelta. D’altra parte considera utopico l’avvicinamento delle masse all’anarchia attraverso la semplice propaganda; si tratta infatti di assimilare una prassi di libertà e solidarietà il che può avvenire solo in un clima di libertà, impensabile nelle società autoritarie dei governi e dei padroni. Si indirizza allora verso il concorso degli anarchici ad ogni momento di rottura dei vecchi equilibri sociali , quello che permette l’emergere di quanto si è nel frattempo evoluto nei rapporti umani. Concorso però ben caratterizzato nello spingere all’insurrezione, cioè, dove non ne sia possibile la distruzione, alla paralisi, massima e più lunga possibile, del governo e del padronato, così da aprire spazi alla libera sperimentazione, necessaria agli anarchici per rendere concrete le proprie idee, e alla società per fare i primi passi verso l’autogoverno e un sistema economico solidale. Per M. infatti:
Bisogna ben distinguere il fatto rivoluzionario, che abbatte quanto più può del vecchio regime e vi sostituisce nuove istituzioni, dai governi che vengono dopo ad arrestare la rivoluzione e a sopprimere più che possono delle conquiste rivoluzionarie…
Più a lungo gli anarchici contribuiranno a impedire l‘istaurarsi di un nuovo governo e quanto più incisiva sarà la loro presenza tanto più metteranno radici, idee e prassi di libertà e solidarietà, rendendo più difficile per i nuovi governi estirparle del tutto e diventando esse stesse patrimonio di base per i nuovi rivolgimenti. Questo in sostanza il gradualismo rivoluzionario di M.
Fabbri per primo capì che M. aveva elaborato queste sue idee, nella loro essenza, già negli anni di fine secolo (1897-99) e vide le elaborazioni successive, per intendersi quelle di “Pensiero e Volontà” (1924-26), solo come una sistemazione delle prime. Diversamente Borghi fece osservare a Fabbri che gli avvenimenti del dopoguerra avevano inciso sul pensiero stesso di M.
In verità non poteva essere diversamente, basti pensare ai ripensamenti in campo anarchico a seguito della vittoria bolscevica in Russia e quella fascista in Italia; ad esempio il piattaformismo, a livello internazionale, o il cosiddetto revisionismo tra gli italiani. In realtà M., alla luce di quelle esperienze, pur rimanendo saldamento ancorato alla elaborazione di fine secolo, a mio avviso, vi apporta delle variazioni di accento che ne modificano non poco le prospettive. L’ultimo M.,lungi da un maggior possibilismo verso soluzioni da “meno peggio”, sembra accentuare ancora, nell’azione anarchica, il valore:
1) del nesso fini-mezzi e, di conseguenza, dell’anarchismo che “rischia” quasi di coincidere con l’Anarchia,
2) dell’ insurrezione, che diventa praticamente l’ unico momento rivoluzionario, unica finestra operativa che si possa presentare per gli anarchici. In altri termini si ha una sottolineatura della funzione rivoluzionaria e critica dell’elemento anarchico al limite di una linea di rivoluzione permanente . A questo proposito è illuminante l’atteggiamento assunto da M. nei riguardi della Piattaforma (V exata questio dell’organizzazione a parte, mi riferisco alla critica di M. al tipo d’azione, al tipo d’anarchismo quindi, proposto da Makno) e nei riguardi della cosiddetta rivoluzione del ’31 in Spagna, quando M. ha posizioni opposte a quella di M. Nettlau e dei vertici della CNT. Atteggiamenti che poi sono anche le ultime prese di posizione di Malatesta prima che la morte lo spenga.

 

Tiziano Antonelli: Il metodo anarchico di Malatesta

Giampiero Berti ha fornito una descrizione personale della vita e del pensiero di Errico Malatesta; per la profondità e la ricchezza il suo lavoro costituisce indubbiamente una pietra miliare, al di là della condivisione o meno dei suoi contenuti. Occuparsi del pensiero di M. vuol dire quindi anche misurarsi con quest’opera, che cerca di superare l’apologia tradizionale e le interpretazioni funzionali a questa o quella tendenza attuale.
Fra le tante questioni, una mi sembra particolarmente importante e non risolta dal lavoro del Berti. Malatesta forma la sua concezione in un arco lunghissimo di tempo e attraverso dibattiti all’interno del movimento anarchico e del movimento operaio e socialista. E’ possibile dare una visione unitaria di questa concezione, delle sue articolazioni teoriche, strategiche, tattiche? Una risposta non può essere data senza stabilire una gerarchia delle fonti: la produzione di M. è estremamente differenziata e costituita in gran parte da scritti d’occasione. All’interno di questa massa si può lavorare in due direzioni:
1. raccogliendo il materiale ed ordinando temi e concetti sulla base della maggior frequenza;
2. individuare i temi affrontati ed ordinarli a seconda del contenuto (teorici, strategici, tattici), ed enucleare anche quelle forme di comunicazione più adatte ad essere comprese da coloro a cui M. si rivolgeva.
Si pone subito il problema del Programma Anarchico e del suo ruolo nel modello interpretativo che andiamo a costruire. La scelta del P. A. è indubbiamente una scelta politica prima ancora che di indagine scientifica, almeno al livello attuale della ricerca, ma è una scelta politica anche considerarlo uno scritto fra tanti.
Il P. A. raggiunge una sistemazione definitiva al congresso dell’UAI del 1920, tale sistemazione definitiva è indubbiamente opera di M., ma all’interno di un dibattito congressuale. Questo fa sì che l’opera principale di M., quella che definisce le linee teoriche e strategiche della sua riflessione e della sua azione, è legata indissolubilmente alla tendenza organizzatrice comunista anarchica. Inoltre l’elaborazione del programma mostra M. in un ruolo particolare di intellettuale: come interprete delle tendenze maggioritarie all’interno dell’anarchismo.
Il P. A. è illuminante su alcune questioni che Berti ripetutamente affronta nel suo lavoro. Ad esempio il ruolo della storia: solo ad un determinato punto di sviluppo delle forze produttive la cattiva organizzazione sociale diviene causa della maggior parte delle sofferenze di cui soffrono gli uomini; questa relazione era ben presente a M., là dove sottolinea l’esigenza delle condizioni materiali che stanno alla base dell’esplicazione della volontà. Un altro aspetto è illuminato diversamente dal P. A.: là dove si dice che l’oppressione economica è causa dell’oppressione morale. Se si abbandona una visione trascendente dell’etica, per cui rispecchia principi universali, essa si definisce a partire dalle condizioni materiali d’esistenza: la miseria, la dipendenza economica, lo sfruttamento sono tutte condizioni che impediscono, a chi ne è vittima, quella libera scelta che è alla base dell’etica.
Quindi, ritornando a M., un percorso interessante può essere quello di legare il suo pensiero alla riflessione su una prassi di trasformazione sociale, che ha al suo centro la questione economica, e si integra con il metodo anarchico e con la coerenza mezzi-fini, rimanendo saldamente ancorata alla questione di classe.

 Dibattito
Ore 20,00 – musica – convivialità

Domenica 7 dicembre

Ore 9,00 – Relazioni:
 Gianfranco Marelli: Errico Malatesta e l’informazione
 Alfredo Bonanno: Malatesta e il concetto di violenza rivoluzionaria
 Comidad: l’insurrezionalismo malatestiano nell’epoca del disordine di Stato
 Massimo Varengo: L’attualità di Errico Malatesta
 Dibattito
Ore 13,30 chiusura del convegno